Depressione post partum: conoscerla e prevenirla

Avere un figlio rappresenta un radicale cambiamento nella vita e nell’identità di una donna, in cui diventa impossibile non avere ripercussioni a livello emozionale. Spesso però non si tratta di un’esperienza caratterizzata solo da emozioni positive e può capitare che sia la donna che la famiglia, neghino tale malessere per lo stereotipo socio-culturale al quale si associa la gravidanza. Secondo questo stereotipo, infatti, si concepirebbe l’arrivo di un bambino o bambina come un lieto evento, nel quale la gioia ad esso correlata dovrebbe esserne il naturale e unico presupposto. Dando spazio però alla dimensione psicologica, un radicale cambiamento come questo potrebbe invece determinare emozioni ambivalenti e difficili da decifrare, comportando una negazione di quelle emozioni negative, per privilegiare l’espressione esclusiva di quelle positive. Per comprendere e accettare la maternità però, è necessario riconoscere anche le emozioni negative legate ad essa, quali rabbia, egoismo, sentimento di perdita, anche nei casi in cui questo comporti l’andare contro il mito del genitore perfetto.

Diventare madri determina una trasformazione dell’identità passata, per attuare un processo di ristrutturazione e di adattamento al nuovo ruolo. Alcune donne hanno però bisogno di molto tempo per completare questo processo e qualora non vi riescano, possono incorrere nella depressione post partum.

Tra i vari tipi di depressione post partum troviamo il baby blues, un fenomeno molto diffuso che non deve destare troppe preoccupazioni, caratterizzato da instabilità emotiva durante le prime settimane dopo il parto ed alcuni sintomi depressivi di breve durata e lieve intensità. Può colpire all’improvviso e si manifesta con una grande facilità al pianto e una spiccata sensibilità verso eventi negativi anche di poca importanza, oltre alle consuete difficoltà di concentrazione e nel ritmo sonno-veglia.

La depressione post-natale, invece, si differenzia per una maggiore gravità e durata dei sintomi depressivi rispetto alla baby blues, con l’aggiunta di una seria difficoltà di gestione dei rapporti all’interno del proprio nucleo familiare, fino ad arrivare ad un sentimento di inadeguatezza ed alla totale incapacità di affrontare i normali eventi della vita. I sintomi più comuni sono stanchezza e mancanzapost partum di energia, tristezza e pianto incontrollato, diminuzione dell’interesse e del piacere per quasi tutte le attività che fino a prima destavano partecipazione e coinvolgimento, pensieri ossessivi riguardanti il bambino o la propria salute e sentimenti di colpa eccessivi, spesso dovuti al non sentirsi una mamma modello di fronte agli imprevisti. La depressione post-natale sarebbe associata il più delle volte ad eventi stressanti come complicazioni alla nascita che possono provocare un vissuto doloroso di aver fallito, difficoltà relazionali come il conflitto coniugale o lo scarso sostegno del partner, ma anche carenza di cure da parte dei propri genitori nelle prime fasi della propria vita.

È bene però prestare attenzione anche alle proprie peculiarità personali, come bassa autostima o un’eccessiva propensione al controllo, che sicuramente influiscono in questa fase della vita, nella quale ogni donna è sottoposta a numerosi cambiamenti della propria immagine e della propria situazione, sia dal punto di vista sociale che coniugale.

Inoltre, secondo un’ottica psicologico-dinamica, ogni mamma sarà inevitabilmente e inconsciamente sottoposta a fenomeni di identificazione col proprio bambino (alcuni autori denominano questo processo come “Preoccupazione materna primaria”) e la qualità di questo processo sarà in gran parte determinata dalla qualità dei rapporti coi propri genitori relativa alla propria infanzia. Tali vissuti saranno determinanti per la donna in gravidanza per affrontare i due compiti adattivi che la attendono. Il primo la porrà dinnanzi all’accettazione dell’embrione prima e del feto poi, come parte integrante di sé. Ella infatti, se riuscirà a superare tale gravoso compito acquisirà uno stato fusionale col feto, sino alla percezione dei primi movimenti fetali. Con essi, la futura mamma, entrerà nel secondo compito adattivo, che sarà quello di riorganizzare il proprio mondo psicologico interno, affinché accolga la nascita del proprio bambino e la consideri come un lieto evento, preparandosi alla naturale fine della gravidanza vissuta sino a prima come esperienza fusionale.

Dalla capacità della madre di superare e adempiere al meglio a questi due compiti adattivi, si profileranno due tipologie di madri. La madre facilitante vivrà la gravidanza come un’esperienza ricca emotivamente, propria della sua identità femminile, che si rinvigorirà psicologicamente grazie a tali vissuti.

La madre regolatrice, invece, percepirà la gravidanza come un passaggio obbligatorio per avere un figlio, provando fastidio per le trasformazioni corporee e per la presenza del feto, che potrà acquisire il carattere di un intruso. Inoltre eviterà il fenomeno regressivo proprio della madre facilitante, riattivando gli antichi conflitti della sua vita infantile, legati all’invidia per le tenerezze che le sono state negate quando lei stessa era piccola e bisognosa di cure, ma che ora sono rivolte al bambino.

Per la prevenzione di qualsiasi problema di carattere psicologico legato alla gravidanza, come ad esempio una possibile depressione post partum, è bene che ciascuna donna in gravidanza si rivolga al suo psicologo di fiducia affinché possa essere supportata in questo lungo periodo e agevolata all’espressione, ma soprattutto alla rielaborazione, di tutte quelle dinamiche psicologiche inconsce che altrimenti ne influenzerebbero negativamente il suo percorso di diventare una mamma.

Dott. Vittorio Visco


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